IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 13/1994 a carico di Leocata Agatino, nato a Catania il 21 settembre 1963, residente ad Esanatoglia, salita Sasso Rosso n. 10, imputato del delitto p. e p. dall'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, poiche', senza autorizzazione, coltivava una piantina di canapa indiana. In Esanatoglia, accertato il 13 dicembre 1993. FATTO E DIRITTO Con decreto in data 28 marzo 1994, il giudice per le indagini preliminari in sede ha disposto il rinvio a giudizio innanzi a questo Tribunale di Leocata Agatino, per rispondere del reato specificato in epigrafe. All'udienza odierna e' stato esaminato il perito prof. Rino Froldi, nominato all'udienza del 26 maggio 1994, in merito alla natura della piantina sequestrata all'imputato, il quale ha altresi' prodotto una perizia scritta. Dal verbale di perquisizione in atti risulta che in data 13 dicembre 1993 militari del nucleo operativo e radiomobile della compagnia carabinieri di Camerino hanno rinvenuto all'interno dell'abitazione del Leocata una piantina di canapa indiana, e che lo stesso Leocata ha riferito agli operanti di averla personalmente coltivata. Dalla perizia oggi depositata e' invece emerso che le foglie e le infiorescenze di tale piantina hanno mostrato di contenere il principio attivo determinante gli effetti psicotropi della cannabis indica (tetraidrocannabinolo -THC), nella misura del 4,4 mg, ritenuta dal perito inferiore a quella minima necessaria idonea "ad indurre effetti stupefacenti", atteso che "nell'uomo l'effetto farmacologico considerato stupefacente si raggiunga mediante assunzioni per via inalatoria di 5-10 milligrammi di THC". All'esito del dibattimento le parti hanno formulato ed illustrato le rispettive conclusioni: il p.m. ha chiesto in via principale la condanna dell'imputato al minimo della pena, riconosciute le circostanze attenuanti generiche nonche' la diminuente di cui all'art. 73, quinto comma, del d.P.R. n. 309/1990, ed in via subordinata che il Tribunale valutasse rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma incriminatrice per contrasto con l'art. 3 della Cost., sotto il profilo della irragionevolezza del trattamento sanzionatorio previsto per la condotta di coltivazione di sostanza stupefacente per uso personale, rispetto a quello previsto (ormai solo in via amministrativa) per la condotta di detenzione finalizzata al medesimo scopo; il difensore dell'imputato ha chiesto in via principale l'assoluzione perche' il fatto non costituisce reato, non essendo stata fornita la prova dell'essere la coltivazione finalizzata alla cessione (e dovendosi ritenere penalmente irrilevante, per effetto sistematico del referendum del 18-19 aprile 1993, la condotta di coltivazione finalizzata alla detenzione per uso personale), ed in via subordinata si e' associato alla richiesta di sospensione del processo formulata dal p.m. sulla base della questione di legittimita' costituzionale da questi sollevata. Ritiene il collegio che le emergenze probatorie acquisite al dibattimento portino a formulare, alla stregua del diritto vigente, un giudizio di responsabilita' nei confronti dell'imputato in relazione al reato ascrittogli. Non puo, essere infatti condivisa la prospettazione difensiva posta alla base della richiesta assolutoria, secondo la quale il citato referendum abrogativo, rendendo penalmente irrilevante la condotta di detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, avrebbe prodotto l'effetto sistematico di considerare la condotta di coltivazione penalmente sanzionabile solo in quanto vi sia la prova dell'essere tale condotta preordinata all'attivita' di spaccio (in questo senso Corte d'appello di Catanzaro, 23 marzo 1994, Noia, dove l'affermazione che "Nel momento in cui la coltivazione appare chiaramente finalizzata all'uso personale il pericolo come categoria non puo' che essere riconsiderato, onde non giungere a risultati esegetici inaccettabili. ( ..) non potrebbe non porsi il problema della attrazione nella attivita' preparatoria allo spaccio di quella che appare una condotta neutra; cioe' del dovere riferire necessariamente ad esso la coltivazione per trovare un fondamento razionale alla sua punibilita', nel quadro dei valori assunti nella nuova definizione normativa"). Siffatta ricostruzione, per quanto seducente in un'ottica sociologica e di politica del diritto, non pare a questo giudicante autorizzata dal diritto positivo attualmente vigente. Se si accogliesse l'indicata prospettazione difensiva dovrebbero stendersi le considerazioni fatte a proposito della coltivazione anche alle condotte di produzione, fabbricazione, estrazione, e raffinazione, in quanto finalizzate all'uso personale, con il risultato di consentire, per effetto di una forzata interpretazione sistematica dell'abrogazione referendaria, la liberalizzazione della produzione di sostanze stupefacenti purche' parcellizzata. L'affermazione dell'attrazione nella sfera del penalmente irrilevante non solo della detenzione per uso personale, ma anche della condotta di coltivazione a cio' destinata, implica infatti una lettura dell'intera disciplina sugli stupefacenti imperniata sulla centralita' della condotta di detenzione e sul carattere strumentale delle altre condotte (fra le quali quella di coltivazione): il che costituisce una evidente forzatura. Il legislatore ha infatti inteso punire le singole condotte indi- cate nel primo comma dell'art. 73 in quanto dotate di autonoma connotazione offensiva e di autonomo disvalore penale: anche a seguito della depenalizzazione della detenzione per uso personale, la punibilita' della condotta di coltivazione, indipendentemente dalla quantita' e dall'uso cui e' destinato lo stupefacente coltivato, mantiene un autonomo fondamento razionale, individuabile nella repressione, a tutela della salute pubblica, delle attivita' che consentono la creazione, l'immissione sul mercato e la circolazione delle sostanze stupefacenti; fondamento, questo, non incompatibile con il significato dell'abrogazione referendaria, posto che altro e' consentire l'uso di sostanze stupefacenti, e altro e' consentirne la produzione, ancorche' finalizzata all'uso personale: lo sfavore con cui il legislatore considera tuttora l'uso personale, punito comunque con sanzioni di natura amministrativa, non consente di optare per una ricostruzione interpretativa che avrebbe l'effetto di estendere le conseguenze del referendum abrogativo alle varie, possibili forme di immissione sul mercato di sostanze stupefacenti, punite in quanto tali. A questo proposito si e' parlato, con riferimento all'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, di "norma a piu' fattispecie", proprio ad evidenziare l'autonomia ontologica e funzionale delle singole ipotesi previste da tale disposizione. La considerazione dell'autonomia delle condotte conduce allora all'affermazione della manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. in sede di conslusioni: trattandosi di condotte differenziate sul piano dell'offensivita', afferenti a diverse rationes giustificatrici, dotate di autonomo disvalore penale, ben si giustifica il diverso trattamento sanzionatorio conseguente all'abrogazione referendaria della sanzione penale per la condotta di detenzione per uso personale. Peraltro, la questione di legittimita' costituzionale della norma incriminatrice in esame deve essere sollevata sotto altro profilo. La giurisprudenza assolutamente dominante ritiene punibile la condotta di coltivazione indipendentemente dalla percentuale di principio attivo contenuta nel prodotto della coltivazione stessa (ed alla idoneita' di tale percentuale a determinare gli effetti psicotropi), in base alla qualificazione della fattispecie criminosa in esame come reato di pericolo astratto, onde la punibilita' non sarebbe ancorata all'accertamento in concreto del pericolo ma alla mera condotta di coltivazione, rilevando l'effettiva tossicita' della pianta solo al fine della commisurazione della pena (cosi', ex plurimis, Cass., sez. VI, 26 settembre 1990, Mussari). In dottrina tale ricostruzione e' stata opportunamente criticata, in quanto conduce all'applicazione della sanzione penale anche quando il bene tutelato dalla norma incriminatrice (individuato nella salute collettiva) non risulti ne' leso, ne' posto in pericolo dalla condotta di coltivazione, vale a dire in assenza dell'offensivita' del fatto reato. La teorica dell'offensivita' del reato si fonda, come e' noto, su diversi percorsi ermeneutici. Da un lato si ritiene che gli artt. 25 e 27 della Costituzione, nel prevedere come conseguenze della violazione della legge penale una duplice tipologia di sanzioni, in funzione del tipo di violazione (nel senso di escludere l'applicazione della pena ai fatti di mera disubbidienza), impedirebbero la punibilita' (ma non l'applicazione di misure di sicurezza) dei fatti inoffensivi. D'altro canto si sostiene che il sacrificio della liberta' personale, garantita dall'art. 13 della Costituzione, non possa ammettersi se non per l'esigenza di tutelare un concreto interesse. Quale che sia l'impostazione preferibile, la giurisprudenza della Corte costituzionale, proprio a proposito della disciplina penale degli stupefacenti, ha precisato che il requisito dell'offensivita' rileva gia' sotto il profilo della tipicita' della fattispecie (sentenza n. 333 dell'11 luglio 1991), dimostrando evidentemente di aderire all'impostazione teorica che definisce il reato quale fatto offensivo tipico; senonche' l'indicata adesione e' soltanto parziale, in quanto essa dovrebbe condurre, in base alle premesse teoriche cui mostra di uniformarsi, all'affermazione della mancanza di tipicita' nelle ipotesi di fatti inoffensivi, mentre nella citata sentenza si afferma esattamente il contrario, vale a dire che il fatto e' offensivo sol perche' tipico, facendosi coincidere la valutazione della iniuria con la semplice previsione legislativa della condotta sanzionata. La decisione in esame ha peraltro, ad avviso di questo giudicante, una valenza argomentativa fortemente condizionata dal (e quindi limitata al) profilo di legittimita' costituzionale allora esaminato, relativo alla condotta di detenzione di sostanza stupefacente in misura superiore alla dose media giornaliera: e' significativa, sotto questo profilo, la precisazione che la ratio della anticipazione della tutela sino alla soglia della astratta pericolosita' risiede nella "ricerca di una piu' efficace strategia di contrasto del narcotraffico, costretto dalla parcellizzazione della domanda a moltiplicare i rivoli dell'ultima fase di spaccio", e che cio' rende la scelta del legislatore non "manifestamente arbitraria o irragionevole". Ne consegue, a correttivo dell'affermazione precedentemente riportata, che non ogni previsione di anticipazione della tutela e', di per se', in quanto "tipica" compatibile con i valori espressi dalla Costituzione in materia di offensivita' del reato, ma lo e' nella misura in cui non risulti, rispetto alle esigenze di tutela, manifestamente arbitraria o irragionevole. La ragionevolezza della scelta legislativa sotto il profilo dell'offensivita' deve essere condotta tanto nell'ottica di una adeguata considerazione della dimensione individual-garantistica della tutela penale, che con riferimento alla dogmatica dei reati di pericolo. Quanto al primo aspetto, irragionevole ed arbitraria appare, ad avviso di questo Tribunale, l'incriminazione della condotta di coltivazione nelle ipotesi in cui essa dia luogo a quantita' (o qualita') di infiorescenze dalle quali non sia ricavabile il principio attivo in misura sufficiente a produrre l'effetto che costituisce lesione (nel caso di assunzione) ovvero messa in pericolo (nel caso di sola produzione della sostanza a seguito di coltivazione) del bene tutelato. Quanto al secondo, si insegna, da parte della dottrina piu' aggiornata, che l'anticipazione della soglia della punibilita' si giustifica in considerazione delle caratteristiche del bene oggetto di tutela, e la salute collettiva, in quanto bene superindividuale, consentirebbe il ricorso alla fattispecie del reato di pericolo. Senonche', mossa dalla preoccupazione di coordinare questo principio con quello che legittima l'intervento punitivo solo in presenza di una offesa - anche se solo potenziale, ma concretamente incombente - al bene giuridico tutelato, allo scopo di evitare che la disciplina penale degli stupefacenti costituisca non uno strumento di (efficace) controllo di condotte offensive, ma un sistema repressivo di fatti di disubbidienza (moralmente riprovevoli), e' la stessa Corte costistuzionale, nella citata sentenza n. 333/1991, ad additare alla discrezionalita' del giudice una serie di parametri in base ai quali valutare la concreta pericolosita' del fatto (peraltro, giova ribadirlo, sempre con riferimento all'oggetto di quel giudizio di legittimita' costituzionale, il che rende inapplicabile alla fattispecie in esame gli indicati correttivi). Ora, a prescindere dalla condivisibile critica che in tal modo si restituisce in maniera strisciante alla discrezionalita' giudiziale una ampiezza di poteri che il legislatore del 1990 aveva piuttosto inteso ridurre (sostituendo, quanto alla condotta di detenzione, la modica quantita' con la dose media giornaliera), e dalla altrettanto condivisibile osservazione che la determinazione della soglia minima di accumulo (in forma di coltivazione ovvero di detenzione) punibile verrebbe in tal modo a dipendere da parametri che non sono desumibili dalla fattispecie legale, non si vede perche' la previsione legislativa di una condotta palesemente ed irragionevolmente inoffensiva, anziche' essere dichiarata direttamente incostituzionale nella parte in cui sottopone alla sanzione penale fatti strutturalmente inidonei a ledere o porre in pericolo il bene tutelato, debba costituire oggetto di verifica giudiziale, con l'inevitabile rischio di arbitrio che il ricorso a parametri extratestuali comporta, ma soprattutto con l'effetto di mantenere in vita una repressione penale disancorata sul piano funzionale rispetto alla stessa ratio di tutela, al punto di far ritenere fondato il dubbio che siffatto regime punitivo risponda, piu' che all'esigenza di contrastare efficacemente il fenomeno della tossicodipendenza, al bisogno di sottoporre a sanzione determinate condotte in ragione non gia' del loro disvalore penale, quanto piuttosto della loro (ritenuta) immoralita', nell'ottica di quella che si suole definire come legislazione penale simbolico-espressiva.